Il “Cholo” Simeone: grinta e passione, da 32 anni il suo metodo per vincere

Dopo tre giornate, Diego Simeone guida la Liga. Il suo Atletico Madrid, primo avversario della Juve in Champions League la prossima settimana, ha perso la stella Griezmann, passato al Barcellona, e non solo. Nonostante l’esodo pesante di calciatori, però, Simeone è ancora lì, davanti a tutti. A gridare e guidare da condottiero viscerale e partecipe i Colchoneros che hanno trovato un nuovo idolo in Joao Felix.

Iniziò tutto al Velez

E’ ancora un’icona di grinta e voglia di vincere, come a 17 anni quando debuttò in prima squadra con il Velez il 13 settembre del 1987 (1-2 contro il Gimnasia). Quando ne aveva quindici, lo vide Victorio Spinetto, icona del calcio argentino, durante un allenamento della squadra giovanile. “In due anni sarai in Primera Division” gli dice. Profezia avverata nella forma e nei tempi.

Perché lo chiamano il Cholo

Fu proprio Spinetto a dargli il soprannome di Cholocontrazione del termine azteco Xoloitzucuintli, una parola un po’ spregiativa per i meticci. Era il soprannome di un difensore del Velez Sarsfield degli anni ’50 poi passato al Boca Juniors. Si chiamava Carmelo Simeone, solo omonimo, nessuna parentela. Da giovane, lo ispirano Falcao e Lothar Matthäus, il trequartista dell’Inter di Trapattoni che vinse lo scudetto nel 1989 con 58 punti, record nell’era dei due punti per vittoria.

Simeone matura a Pisa, diventa grande all’Atletico Madrid

Nell’ultimo giorno di mercato nell’estate del 1990, dopo i Mondiali delle notti magiche, al “Presidentissimo” del Pisa, il pittoresco quanto arguto Romeo Anconetani, arrivano via fax le foto di una serie di argentini sotto i vent’anni. Non esiste ancora Internet, non c’è Wikipedia. Sotto le foto, trova al massimo ruolo, altezza, peso, poco altro. Ne sceglie due: Simeone e Jose Antonio Chamot, difensore che poi lo anticiperà alla Lazio. Saranno i migliori acquisti della sua gestione. Segna quattro gol in quella che sarà l’ultima stagione nella storia nerazzurra in Serie A. Rimane un anno anche in B, poi parte per la Spagna. Gioca a Siviglia, diventa grande all’Atletico Madrid. Gioca tre stagioni, nel 1996 vince la Liga e la Coppa del Re (la coppa nazionale): diventa un centrocampista totale. Un mediano che trasuda garra e inquietudine, decisione e motivazione. Prima della sfida decisiva per il primo dei due titoli nazionali, apre la porta della camera e trova Kiko, il compagno di squadra, sul letto a riposare. “Non capisco come si possa fare la siesta quando ci stiamo per giocare la Liga” commenta: sarà storia. Moratti, presidente dell’Inter, lo riporta in Italia nel 1997.

Simeone all’Inter: una storica doppietta al Milan

Al primo anno è decisivo in Coppa Uefa, che l’Inter perderà in finale contro la Lazio a Parigi. E in un memorabile derby del 22 marzo 1998. E’ la sfida numero 150 in Serie A tra Inter e Milan. Si è rasato i capelli su un lato per disegnare una freccia. Quella freccia, dirà dopo la partita, avrebbe dovuto servigli per non perdere la via del gol. Ne farà due, di gol: il primo di testa su calcio d’angolo di Djorkaeff, il secondo dopo una corsa di cinquanta metri e un tocco lento dopo il dribbling al portiere Rossi. L’Inter non batteva 3-0 il Milan dal 1953. 

L’anno dopo, alla seconda giornata, Castellini gli stacca due denti in un contrasto. Gigi Simoni vorrebbe che andasse in ospedale. Ma a calcio, dice, si gioca con i piedi, non con i denti. Simeone è un perfezionista, che di calcio parlerebbe 24 ore al giorno. In allenamento litiga almeno due volte con Ronaldo e a fine stagione va alla Lazio, in cambio di Vieri.

Simeone guidò la rimonta scudetto della Lazio

Quella Lazio, ha detto, è la squadra migliore in cui abbia giocato. Arriva e vince la la Supercoppa Europea contro il Manchester United a Montecarlo. È di fatto lui a lanciare la rimonta scudetto da -7 nel 2000, quella finita con il gol di Calori nel diluvio di Perugia contro la Juve: il suo gol di testa su cross di Veron decide lo scontro diretto di aprile, e cambia tutti. Vince anche Coppa Italia e Supercoppa, sempre contro l’Inter, in quel primo anno alla Lazio. Resterà quattro stagioni. Gioca 87 partite, in cui dà tutto sempre. “Se giochi bene anche solo cinque minuti, poi ne giocherai sei, poi sette” ha detto alla tv spagnola nel 2017. È il suo credo anche da allenatore. Ha deciso di diventarlo proprio alla Lazio. 

Simeone allenatore: l’uomo dei record all’Atletico Madrid

In panchina, ha vinto il primo titolo nel 2006, il torneo Apertura con l’Eastudiantes: allora il campionato argentino si divideva in due parti, come andata e ritorno, ma alla fine della prima si assegnava il titolo, si azzeravano i punti e si ricominciava da capo. Ha vinto anche un campionato Clausura con il River Plate e firmato il record di punti in Serie A con il Catania (46, nel 2010-11) arrivando al posto di Giampaolo, ora tecnico del Milan. Insieme a Luis Aragones, è l’allenatore più vincente nella storia dell’Atletico Madrid. Ha conquistato la coppa del Re nel 2013 e il campionato nel 2014. E’ diventato il primo allenatore non europeo ad alzare l’Europa League. E il terzo uomo a vincere la competizione, considerando anche gli anni della Coppa Uefa, da giocatore e da allenatore dopo Dino Zoff e Huub Stevens. L’ha alzata due volte, nel 2012 e nel 2018, e sempre ha bissato il trionfo nella Supercoppa Uefa. Ha perso due dolorose finali di Champions League contro il Real Madrid. Ma non è mica da questi particolari che si giudica un allenatore.