Il calcio oltre il Muro di Berlino: la morte del “traditore” Eigendorf

Il calcio oltre il Muro di Berlino: la morte del "traditore" Eigendorf
Il calcio oltre il Muro di Berlino: la morte del “traditore” Eigendorf

Un incidente che nasconde un omicidio? O una semplice casualità che il tempo e i buchi neri della storia hanno coperto di significati sinistri? Questa è la storia di Lutz Eigendorf, “il Beckenbauer della Germania Est”, morto per lanciare un’occhiata oltre il Muro di Berlino.

La fuga di Eigendorf in Germania Ovest

Eigendorf è un simbolo dello sport socialista e nel 1974, l’anno del trionfo mondiale della Germania Ovest sull’Olanda, è entrato nella Dynamo Berlino, la squadra della Stasi. Diventa una stella della Oberliga, il campionato della Germania Est ma vorrebbe misurarsi con i campioni della Bundesliga. Il 19 marzo 1979 matura un’occasione, un’amichevole contro il Kaiserslautern, che all’epoca è nelle prime posizioni in classifica e vince 4-1. Dopo la partita, ricorda Roberto Brambilla nel suo “C’era una volta l’est”, la squadra alloggia all’hotel Savoy. C’ì anche l’addetto agli arbitri Rudi Merk che gli lascia il suo biglietto da visita.

Il giorno dopo l’autobus della Dynamo Berlino si ferma a Gießen, una cinquantina di chilometri a nord di Francoforte sul Meno. I calciatori, che hanno potuto vedere il mondo dall’altra parte del Muro, hanno dovuto affrontare due giorni di seminari, letture, indottrinamenti prima della partita. La sosta serve a permettere ai giocatori di spendere un po’ di valuta straniera in jeans Wrangler o in dischi dei Bee Jees. Lutz Eigendorf, centrocampista offensivo di grande talento, sul pullman è salito per ultimo. Scende ma non va in giro per la città a spendere i suoi marchi dell’ovest, in modo da non riportarli indietro in Germania Est.

Non gli interessano il caffé, le sigarette, le banane o i jeans. Sparisce tra la folla, cerca il primo taxi libero e gli dà un biglietto con l’indirizzo di Merk che vive a Kaiserslautern e pagherà la lunga corsa. Eigendorf smette di essere un giocatore, diventa un rifugiato politico. E inizia a scrivere la sua condanna. Perché la Dynamo non è una squadra come le altre. Il presidente onorario è infatti Erich Mielke, il ministro della Sicurezza dello Stato. E Mielke prende il “tradimento” di Eigendorf come un affronto personale.

Oltre il Muro: il calcio come strumento politico in Germania Est

Sin dalla nascita della Germania Est, la politica è intervenuta pesantemente nel mondo del pallone, smantellando la struttura basata su club privati. Nello sport entrano il principio di produttività e l’ideale del collettivismo socialista. Il nome delle squadre si fa precedere da un prefisso, spesso Bsg (Betriebssportgemeinschaft, gruppo sportivo dell’impresa): “Chemie” certifica un legame con l’industria chimica, “Lokomotive” con le ferrovie nazionali, “Stahl” con le fabbriche dell’acciaio, “Aufbau” con l’industria edilizia, “Wismut” con le miniere, “Dynamo” con la Stasi, “Vorwarts” con l’esercito.

Nella turbolenza tipica dei primi anni del regime sovietico in Germania orientale, le squadre venivano frequentemente, e in modo del tutto arbitrario, spostate da una città all’altra. Nel 1954. Salvo rari casi di ribellione, i calciatori in genere accettano passivamente le decisioni, anche per la mancanza di alternative.

Il calcio oltre il Muro di Berlino: la morte del "traditore" Eigendorf
Il calcio oltre il Muro di Berlino: la morte del “traditore” Eigendorf. In questa immagine l’ex palazzo della Stasi

Dopo la costruzione del Muro di Berlino, il calcio in Germania Est diventa strumento politico. Nella lotta tra capitalismo e socialismo che si combatte dalle due parti di una frontiera di mattoni e filo spinato, il calcio deve rafforzare l’identificazione dei tedeschi orientali con il sistema socialista. Per questo i club riescono spesso a evitare i controlli finanziari. Perché i calciatori non siano indotti in tentazione, vige un professionismo coperto che garantisce stipendi alti e premi.

Nel 1969 gli sport vengono divisi in due sfere, in due categorie, dal cosiddetto Leistungssportbeschluß: una direttiva che mira a canalizzare risorse verso le discipline in grado di portare maggiori successi nelle Olimpiadi di Monaco 1972. Il calcio ottiene di entrare nelle discipline di livello più alto, insieme, tra gli altri, a nuoto, atletica e sollevamento pesi. Questo vuol dire strutture e preparatori migliori rispetto a quelle di cui possono godere i praticanti di sport come il tennis o la pallanuoto. Nel 1971, subito dopo la nomina di Erich Honecker a capo del Sed (Partito Socialista Unificato Tedesco), la Germania Est inizia a uscire dall’isolamento diplomatico e nel 1974 le autorità sportive della Repubblica Democratica Tedesca stipulano un accordo formale con la Germania Ovest sulle relazioni sportive tra i due Paesi. Relazioni che per Mielke sono un cavallo di troia dell’imperialismo. Infatti prova a fare di tutto per ridurre i contatti fra i due lati del Muro. Il calcio viene controllato ancora più strettamente con una rete di atleti, preparatori, giornalisti, ufficiali e scienziati dello sport reclutati come collaboratori non ufficiali (Im, Inoffizielle Mitarbeiter), l’arma principale nelle attività di controspionaggio della Stasi.

La Stasi spia Eigendorf in Germania Ovest

Eigendorf, scrive Brambilla, “viene mandato prima a Lippstadt in una pensione dove alloggia sotto falso nome e poi ospitato dal direttore sportivo del Kaiserslautern Norbert Thines. Intanto le autorità della Ddr stanno cercando di rintracciare Eigendorf. A Berlino Est, Zechlinerstraße numero 3, due uomini si presentano alla porta di Gabriele Eigendorf, la moglie di Lutz”, che la interrogano e perquisiscono la casa.

Il giornalista Heribert Schwan, autore del documentario Tod der Verrater (Morte di un traditore) per la Ard, scopre documenti segreti che svelano i retroscena di quegli anni. Il capo della Stasi usa diversi agenti “Romeo”, impostori particolarmente abili nell’arte della seduzione con il compito specifico di instaurare relazioni amorose con Gabriele. Uno di questi, l’Im «Peter» l’ha addirittura sposata prima della fine del 1979 e ha accettato di adottare la figlia di Gabriele e Lutz, Sandy.

Il Kaiserslautern offre alla Dynamo una cifra a quattro zeri come compensazione per il mancato rispetto del contratto del giocatore. La Dynamo però rifiuta. Su Eigendorf, sospeso per un anno, pesa un mandato di cattura per superamento illegale del confine. In Germania Ovest, Eigendorf si risposa e ritrova un vecchio amico, Karl-Heinz Felgner, ex campione nazionale di pugilato nella Germania Est. Non sa che Felgner è un’agente della Stasi. Ha fallito nel ruolo di corteggiatore di Gabriele ed è stato mandato in Occidente (come I.M. «Klaus Schlosser») per guadagnarsi la fiducia di Eigendorf e riferire pensieri, parole e azioni del giocatore.

Il mistero della morte di Eigendorf

La carriera di Eigendorf non decolla, nel 1982 passa all’Eintracht Braunschweig per quattrocentomila marchi. Il 21 febbraio del 1983, sulla Ard, va in onda un’intervista di Eigendorf che esalta le attrattive della Bundesliga per i calciatori della Germania Est. Due settimane dopo, la sera del 5 marzo 1983, al volante della sua Alfa Romeo nera, Eigendorf si schianta contro un albero all’altezza di Brunswick, nella Bassa Sassonia, su una delle curve notoriamente pericolose della strada Braunschweig-Querum. Sopravviverà trentaquattro ore prima di morire per le gravi ferite alla testa. Al momento dell’incidente ha un tasso alcolemico di 2.2. La polizia chiude il caso come incidente dovuto alla guida in stato di ebbrezza. I documenti degli archivi trovati da Schwan lasciano ipotizzare che l’incidente sia stato solo inscenato. Noske Von Henning, in un articolo per il sito tedesco Newsclick del 2008, cita un documento della Stasi del 1983 che descriverebbe le possibili modalità di organizzazione di un falso incidente facendo ingerire alla vittima una particolare sostanza chimica che ostacola la vista e poi, lasciarla partire in auto e poi abbagliarla con i fari per fargli perdere il controllo.

Anni dopo, nel 2009, Felgner ormai sessantenne viene accusato di rapina in un negozio di Dusseldorf. In tribunale, riporta la stampa tedesca, confessa: “Avrei dovuto uccidere io Eigendorf, ho accettato un contratto per ammazzarlo, ma non l’ho fatto”. Per quella notte, comunque, ha un’alibi. E il mistero della morte del Beckenbauer dell’Est resta ancora senza soluzione.

LEGGI ANCHE – Il calcio oltre il Muro di Berlino: fuggitivi per la libertà