Josef Bican, ecco chi era: la leggenda del capocannoniere mondiale

Durante Pressing Serie A qualcuno si chiede chi fosse Josef Bican, il  capocannoniere mondiale assoluto. Lo spieghiamo noi…

Nessuna pretesa di saperne di più degli autorevolissimi conduttori e opinionisti di Pressing Serie A: ma non sapere di era Josef Bican (la pronuncia corretta è Josèf Bisàn, alla francese, il boemo si pronuncia così) per chi ha la pretesa di raccontare fatti, personaggi e statistiche del calcio mondiale è comunque una lacuna.

Provvediamo noi, perché la storia di Bican è comunque straordinaria e merita di essere raccontata.

Chi era Josef Bican

Premessa. Il calcio ruota attorno a statistiche ufficiali che vengono ratificate da una istituzione riconosciuta dalla FIFA che si chiama IFFHS (International Federation of Football History and Statistics). Questa federazione ha una storia relativamente recente: è nata nel 1984 dalla RSSSF, un immenso database che per anni ha raccolto risultati, dati e statistiche di qualsiasi campionato.

È l’IFFHS che ha ratificato l’attuale classifica dei bomber mondiali assoluti: e al comando della graduatoria c’è proprio lui, Josef Bican, con 805 gol ratificati in 530 partite durante 24 anni di attività.

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Il bomber scalzo

Bican, classe 1913 nacque in un’Europa devastata da conflitti e tensioni geopolitiche in Austria: a Vienna. Ma i confini e le etnie non erano quelle che conosciamo oggi. Bican, fin da bambino soprannominato Pep, era il figlio di Frantisek Bican, un buon centrocampista nato in Boemia. Pur accettando la convocazione con l’Austria, Frantisek non abbandonò mai la lingua e le sue radici boeme e trasferì questa sua fierezza di nascita anche al figlio. Una famiglia con discrete possibilità economiche. Prima del dramma…

Pep rimane orfano a soli otto anni: il padre, che era tornato incolume dalla prima guerra mondiale, resta gravemente ferito in campo dopo una pedata alla schiena. Rifiuta di uscire, non si cura per non perdere i soldi dei rimborsi (giocava con l’Hertha Vienna) e ci lascia la pelle. Pep aiuta la mamma, che fa la cuoca in una trattoria, facendo le pulizie e il fattorino. E gioca: scalzo, perché non può permettersi scarpe normali, figuriamoci quelle da calcio. A 14 anni Pep prende il posto del padre nell’Hertha: segna sei gol in amichevole giocando con le riserve. Viene promosso in prima squadra e segna subito, sempre in amichevole: tre amichevoli e quattordici gol. L’Hertha capisce di poter pagare un po’ di debiti e non lo fa nemmeno esordire girandolo subito al Rapid Vienna.

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Un ragazzo timido

La biografica di Bican racconta che il ragazzo sia timidissimo, introverso. Una freccia: sempre scalzo affronta il suo primo test di atletica su una pista del Prater, il parco di Vienna. Corre i cento metri in 10.9. Gli allenatori non credono al cronometro e glieli fanno correre altri tre volte. Due 10.9 e un 10.8: poi decidono che può bastare.

Sulle prime fatica ad accettare di dover indossare le scarpe: soffre di vesciche. E’ timidissimo: arriva al campo di allenamento senza usare lo spogliatoio, si vergogna di cambiarsi con gli altri ragazzi della squadra: perché il suo austriaco non è eccellente, perché è figlio di immigrati poverissimi, perché non ha le scarpe e se le deve far prestare dal club. Il suo primo allenatore lo prende in custodia come si farebbe con un figlio… É  una storia da film: “Tu gioca come sai e non ti preoccupare”. É lui, Tim Eberhardt, a regalargli le sue prime scarpe da calcio e una paghetta mensile di 120 scellini. Una fortuna per il ragazzino scalzo. Che gioca, segna, cresce, matura. Quando lo chiamano in sede per fargli firmare un contratto Pep si presenta con la madre pensando si trattasse di uno scherzo. Il suo stipendio è di 600 scellini: Pep non sa che il club era pronto a pagare anche il triplo.

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Josef Bican
Josef Bican, il più grande marcatore di tutti i tempi scomparso nel 2001 (Foto FIFA)

Gol a grappoli

Pep si innamora e si fidanza con Jamila: una bella ragazza austriaca. É  lei a chiamarlo Pepi: e Pepi rimarrà il suo soprannome fino al giorno della sua morte, nel 2001. In mezzo tante vicende avventurose e drammatiche ma anche un mucchio di gol.

Quando Bican diventa abbastanza forte e fiducioso dei suoi mezzi per scegliere dove giocare, decide di tornare a casa, in Boemia: e si trasferisce allo Slavia Praga, la squadra degli universitari che all’epoca dominava la scena in Cecoslovacchia. Bican ne diventa il simbolo e l’uomo di punta: segna sempre e comunque. Bican è l’unico giocatore nella storia dei massimi campionati ad avere marcato sette gol in una sola partita. Non una volta: ma tre. Giocherà con tre nazionali diverse: quella della Moravia, una sola partita, l’Austria e la Cecoslovacchia.

É dodici volte capocannoniere assoluto in una carriera lunghissima falcidiata da brutti incidenti e molti problemi fisici. La RSSSF tiene conto solo dei suoi gol segnati nel massimo campionato cecoslovacco e in nazionale. In realtà le reti marcate da Bican sarebbero molte, molte di più.

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Perseguitato

La vita di Bican fu tormentata da tanti drammi: in particolare il razzismo. In Austria subì persecuzioni perché boemo. Ma accettò di vestire la maglia della nazionale austriaca per sei anni. Quando l’Austria si avvicinò al nazismo e venne di fatto annessa da Adolf Hitler alla Germania, Bican si rifugiò a Praga: e qui subì le persecuzioni dei nazionalisti boemi e moravi che lo avevano definito “il bastardo che arriva dall’Austria”.

Dopo la seconda guerra mondiale, quando niente era più come prima, Bican tornò in campo per vestire la maglia della nazionale cecoslovacca. Ma la sua carriera fu quasi esclusivamente con le maglie dei suoi club: tuttavia, quando affrontò la prima partita dopo la guerra, nel 1947, contro la Yugoslavia, e un cronista gli chiese che cosa provasse nell’indossare la maglia della nazionale, lasciò ai posteri una frase toccante… “siamo figli della stessa povertà e della stessa passione, tutti amiamo questo nostro sport, tutti amiamo questa nostra nazione, siamo boemi e moravi, slovacchi e ucraini e da qui non abbiamo mai mandato via nessuno: tedeschi, polacchi, russi, ungheresi. Abbiamo combattuto per essere divisi? Io dico di no… è ora di non combattere più”.

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L’offerta della Juventus

Pochi sanno che Bican nell’immediato dopoguerra sarebbe dovuto venire a giocare in Italia, alla Juventus: la famiglia Agnelli gli fece un’offerta formidabile. Ma il bomber non ne volle sapere: “Chi mi garantisce che in Italia il clima sia sereno dopo tutto quello che è successo?” disse spiegando la sua decisione. Temeva nuovi rigurgiti politici. Che purtroppo subì in casa sua: quando a Praga arrivarono i carri armati sovietici.

Bican, che era scappato dall’Austria perseguitato perché aveva rifiutato di iscriversi al partito nazista, secondo i progetti della nuova dirigenza politica di Praga sarebbe dovuto diventare il simbolo della Cecoslovacchia comunista del blocco sovietico. Iniziò a rifiutare le convocazioni in nazionale. In fondo era quasi a fine carriera, anche se avrebbe giocato altre sette stagioni piene.

Fu di nuovo perseguitato: gli impedirono di giocare, fu costretto a lavorare come operaio prima in ferrovia, poi in acciaieria. Quindi gli imposero la maglia del Hradec Karlove, una squadra del sindacato della siderurgia, tornò a quella della Slavia a fine carriera. Ma solo perché lo Slavia nel frattempo era diventata la Dynamo, la squadra del partito comunista ceco. Bican si ritirò a 42 anni, stanco e stralunato dalle tensioni che avevano devastato il suo paese.

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Quello che i numeri non dicono

Le statistiche ufficializzano il suo score di 805 gol solo nel 2001, pochi mesi prima della sua morte. Le statistiche ufficiose dicono che di reti ne abbia segnato oltre 2500. Il doppio di quelli che Pelé afferma di avere messo a segno (1263, l’IFFHS gliene attribuisce ‘solo’ 767).

Bican accolse la notizia felice: “É bello che si siano accorti di questo emigrante del mondo”. E a chi gli ha chiesto se non fosse arrabbiato del fatto che molti gol non gli siano stati riconosciuti, solo perché Pelé aveva avuto la TV e lui no, Bican rispose con una frase che restò nella storia: “Siamo sinceri, chi potrebbe credere che uno come me abbia segnato il doppio dei gol di Pelé? Tuttavia io e Pelé abbiamo alcune cose in comune: eravamo due morti di fame che giocavano scalzi. Gli tendo la mano, da fratello a fratello…”

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Josef Bican, il bomber scalzo

Josef Bican riposa sotto un busto di marmo che è stato realizzato dai dirigenti dello Slavia nel cimitero del castello Visherad, a Praga vicino ad alcuni illustri artisti e sportivi della nazione ceca. Con lui la moglie Jamila che lo seguì dieci anni dopo. Sulla sua tomba una maglia dello Slavia.

I suoi biografu raccontano che è stato sepolto insieme agli onori della Repubblica cecoslovacca in un elegante abito blu.

Accanto a lui un vecchio paio di scarpini da calcio della sua terza stagione al Rapid Vienna e un pallone cucito a mano. Nella tasca destra del suo bel vestito, scritta a penna da sua moglie Jamila, una frase di Jan Neruda, il poeta della Moravia: “L’amore, mentre la vita ci incalza, è niente più che un’onda potente, che scavalca tutte le altre onde”.

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