ESCLUSIVA CT | Avv Mattia Grassani: “UEFA tollerante con PSG e City. FFP da rivedere”

E’ il calciomercato estivo dei ricchi, PSG, Manchester City, Man United e Chelsea su tutti, da Romelu Lukaku, Jadon Sancho e Jack Grealish fino a Lionel Messi. Affari monstre ma la domanda è: che fine ha fatto il Financial Fair Play tanto voluto dalla UEFA? Ai microfoni di CalcioToday.it risponde l’esperto legale di diritto sportivo Mattia Grassani.  
Che fine ha fatto il FFP UEFA. Lo spiega Avv Grassani
L’Avv Mattia Grassani esperto di diritto sportivo spiega che fine ha fatto il FFP UEFA

Un dominio sul calciomercato indiscusso. E’ l’estate caldissima di PSG, Manchester City, Man United e Chelsea. Colpi milionari a cifre impossibili anche per Real Madrid e Barcellona ferme, per non parlare dei club della Serie A costretti nel caso dell’Inter a cessioni illustri in nome dei bilanci per salvaguardare la vita delle società. La mano morbida della UEFA con i potenti sceicchi o patron russi, rischia di ingigantire il divario tra i vari club, rendendo sempre meno equilibrato il confronto sul campo. Ma perché il FFP vale solo per alcuni e non per tutti? E sopratutto i controlli della UEFA dove sono finiti? A queste ed altre domande, ai microfoni di CalcioToday.it , risponde in ESCLUSIVA l’esperto avvocato bolognese di Diritto Sportivo, già al fianco di società e Federazioni, Mattia Grassani.

Avvocato sono giorni caldissimi per trattative di mercato a cifre monstre, che fine ha fatto il Fair play UEFA ?
“Si tratta di una domanda più che giustificata, alla luce delle recenti operazioni definite soprattutto da Manchester City e PSG. L’impressione è che la UEFA, anche in ragione della pandemia nonché degli avvenimenti degli ultimi mesi, come non citare la Superlega, si sia convinta ad adottare un approccio più morbido. Fermo restando che gli effetti sulle operazioni di queste settimane si produrranno, ai fini del regolamento sul Financial Fair Play, nei prossimi mesi, l’atteggiamento indulgente dimostrato dagli organi di controllo nell’ultimo anno e mezzo, a partire dalla revoca dell’esclusione del Man City dalla Champions League di luglio 2020, stride con l’approccio severo dimostrato nelle stagioni precedenti, che ha condotto diversi club italiani a raggiungere compromessi molto penalizzanti con la UEFA. Si ricordino, ad esempio, i settlement agreements di Inter e Roma, molto limitanti in punto di impiego di calciatori nelle competizioni europee o di politiche di calciomercato, o addirittura la rinuncia del Milan a partecipare alla UEFA Europa League 2019-2020, una scelta senza precedenti che ovviamente avrà avuto le sue valide ragioni”.

Grealish al Man City per 100 milioni di sterline, Lukaku al Chelsea per 115 milioni di euro, Messi al PSG con un ingaggio da 35 mln l’anno. Al di là della ricchezza delle società, perchè patron russi e sceicchi possono investire queste cifre?
“Perché le proprietà di questi club rappresentano super potenze della finanza planetaria. Spesso hanno rapporti consolidati e significativi con stati sovrani, che hanno aiutato ad individuare escamotages per aggirare le norme del FFP, anche grazie ad un atteggiamento. Come detto, a mio avviso troppo indulgente da parte degli organi di controllo. 

Comprendo che spesso la difesa di certi regolamenti che limitano gli investitori, e quindi rallentano l’immissione di risorse in un sistema, possa rappresentare una battaglia contro i mulini i vento, ma se si decide di intraprendere un percorso, le regole devono essere chiare, fatte rispettare e soprattutto uguali per tutti”.

 

Controlli UEFA, il FFP da rivedere e il futuro della Serie A

Controlli UEFA, il FFP da rivedere e il futuro della Serie A 
Avv Mattia Grassani spiega i controlli UEFA, il FFP da rivedere e il futuro della Serie A
PSG e City in passato sono già state attenzionate dai controlli UEFA, ma non sembrano aver cambiato politica, come se lo spiega? 
“Me lo spiego con il fatto che le sanzioni non sono state realmente afflittive e, anzi, hanno rappresentato un precedente che ha, per così dire, legalizzato certe dinamiche.

Le maxi sponsorizzazioni provenienti da partner commerciali di Manchester City e PSG, spesso strettamente legati ad autorità statali o alle proprietà, hanno fatto la differenza. L’idea di valutare tali ricavi, ai fini dell’applicazione del regolamento del Financial Fair Play, con il principio del fair value era certamente interessante e centrata. L’assenza di una disciplina puntuale e l’approccio forse eccessivamente indulgente degli organi di controllo ha fatto sì che, nella sostanza, indagini che avrebbero dovuto rappresentare l’alba di una nuova era, la prova che effettivamente il FFP funziona anche nell’applicazione alle super potenze continentali, hanno rappresentato una breccia in un sistema che, adesso, rischia di perdere credibilità”.

Il Fair Play Uefa va rivisto secondo lei. Se si in che modo?
Evidentemente si. L’allentamento delle maglie del FFP rappresenterebbe una sconfitta, ma per varie ragioni penso che si vada in questa direzione. La naturale complessità a frenare l’immissione di risorse nel sistema da parte di investitori importanti, unita alla contrazione di ricavi senza precedenti dell’era COVID che ha letteralmente messo in ginocchio tutti i club, di tutte le categorie. I casi di cui stiamo discutendo che hanno evidenziato evidenti falle nel sistema, dovranno condurre necessariamente la UEFA a ripensare le regole del Financial Fair PlayProbabilmente si potrebbe optare per forme di deroga al principio chiave del break even, purché i maggiori costi siano coperti dalle proprietà mediante ricorso a fideiussioni bancarie o altre forme di garanzie. Insistendo sulla distribuzione delle risorse derivanti dalle competizioni, che dovranno essere sempre maggiori per i club virtuosi e ridotte al minimo per le società in perdita”.

Che idea si è fatto sulla Superlega: avrebbe favorito tutti i club europei coinvolti o solo i più potenti?
“Certamente tutte le società europee coinvolte ne avrebbero beneficiato, ma la forbice tra i top club si sarebbe certamente allargata. Le numerose società europee di alto livello che sarebbero rimaste escluse dalla Superlega, di fatto avrebbero dovuto affrontare un ridimensionamento definitivo ed irrecuperabile. Senza pensare al terremoto che sarebbe stato causato dall’uscita dei dodici consociati dal cd. ‘calcio organizzato’. La mia idea è che le rivendicazioni e i motivi posti alla base della scelta erano e sono giustificabili, i tempi e i modi da rivedere. Sarebbe certamente auspicabile e non procrastinabile l’apertura di un tavolo tra UEFA e ECA finalizzato alla riorganizzazione delle competizioni europee che determini un incremento delle risorse da distribuire ai club e un maggiore coinvolgimento delle società che producono valore, ovvero quelle dei paesi delle ‘big five’ (Italia, Inghilterra, Spagna, Germania, Francia), oltre alle principali realtà degli altri stati, ove particolarmente meritevoli, mi vengono in mente Porto, Ajax, Shaktar Donetsk e poche altre”.

Il Covid ha spaccato gli equilibri già instabili del calcio europeo e in particolare in Italia: come ne possiamo uscire fuori nel nostro paese?
“Si tratta di una mission molto complicata, che il Presidente Gravina sta affrontando con l’approccio giusto. Una riforma che preveda la riduzione del comparto professionistico mi sembra assolutamente necessaria, a partire dalla Serie A, che dovrebbe essere composta da un numero inferiore di club per lasciare più spazio alle competizioni europee, per arrivare poi alle categorie minori, dove i costi sono ormai insostenibili per i più (basti verificare le esclusioni per carenze economico-finanziarie che ogni anno puntualmente si verificano all’atto del rilascio delle Licenze Nazionali). Si dovrebbe poi lavorare sulla razionalizzazione del costo del lavoro e, soprattutto, per ridurre la fuoriuscita di risorse dal sistema, come ad esempio accade per le ingenti commissioni in favore degli Agenti, che andrebbero certamente calmierate. Presupposto essenziale, tuttavia, che non dipende certamente dal calcio e dalle sue istituzioni, appare la definitiva sconfitta del maledetto virus che potrà consentire, finalmente, a tutta l’economia di ripartire”.