ESCLUSIVA CT, Maurizio Silvestri: “Roma Calcio Amputati, una sfida per vincere i pregiudizi”

Roma Calcio Amputati è una realtà romana di calciatori con disabilità, ai nostri microfoni si è raccontato l’allenatore Maurizio Silvestri.

Attorno a un pallone, spesso, ruota la vita. Anche quella di coloro che hanno dovuto, per varie ragioni, imparare a rialzarsi dopo qualche caduta. È il caso, fra gli altri, delle persone amputate: senza un arto, ma con tanta voglia di ripartire e mettersi in gioco. Oltre la retorica e i luoghi comuni, senza una parte del corpo la vita cambia: si modifica, forse, per restare sempre uguale. Ragazzi come tanti che devono, però, fare i conti con una differenza: sta a loro capire se renderla piccola o grande.

Maurizio Silvestri Amputati
Maurizio Silvestri, allenatore della Roma Calcio Amputati (1vs1)

L’importante è non porla mai come un difetto. Far diventare una menomazione un valore aggiunto è compito (anche) dello sport: il calcio, nella fattispecie, ci riesce con il campionato per gli amputati. Calciatori che si rimettono in gioco completamente dopo, appunto, l’amputazione di un arto.

Roma Calcio Amputati, Maurizio Silvestri: “Oltre le barriere e i pregiudizi grazie al calcio”

Roma Calcio Amputati
La squadra giallorossa presentata al fianco di Onorato (LaPresse)

La Roma Calcio Amputati rappresenta la sponda giallorossa del Tevere e nasce dall’idea di Arturo Mariani nel Dicembre 2021. Una realtà nata da poco, ma con tanta voglia di fare. In questa avventura lo accompagnano anche il Vicepresidente Simone Perrotta, uno che con la Roma (in Serie A) ci ha giocato) e l’allenatore Maurizio Silvestri. Abbiamo contattato il tecnico dei giallorossi che si è raccontato in esclusiva ai nostri microfoni.

Da quanto allena la Roma Calcio Amputati e che esperienza è allenare questo tipo di squadra?

“Li ho conosciuti 4 anni fa, prima dei Mondiali, hanno fatto una sorta di preparazione con me perchè io ho una scuola di tecnica individuale. Quindi sono venuti a fare gli allenamenti con me per 15 giorni prima di partire per i Mondiali. Poi è rimasto il legame perchè a me è sempre piaciuto agevolare chi è in difficoltà nel calcio, anche come lezione verso i professionisti che si lamentano: un calciatore fa questione spesso perchè gioca cinque minuti di meno o cinque minuti di più, i miei ragazzi dimostrano che il calcio è volontà e disciplina. È qualcosa che ti segna, per cui appena ho ricevuto la proposta ho preso la palla al balzo: è una sfida anche per me”.

Cosa cambia a livello di allenamento, organizzazione e programmi?

“Io faccio fare lo stesso lavoro che svolgono i professionisti normodotati, per me è una sfida e i ragazzi rispondono alla grande. La determinazione che hanno di giocare una partita o fare un semplice allenamento è qualcosa di straordinario, quindi ti dà stimolo e motivazione per andare avanti e migliorare sempre. Cercare nuove soluzioni e metodi di allenamento per farli esprimere al meglio. Io, però, li faccio lavorare come gli altri.

Lei ha detto che questa è un’esperienza che segna: riesce a scindere le sue emozioni dalla severità che un allenatore deve avere?

“Quando ti ho parlato che faccio fare le stesse cose dei normodotati, mi riferivo anche all’approccio emotivo con loro. Per me sono ragazzi come gli altri con la differenza che gli manca un arto, ma essendo tutti dei calciatori qualificati devono dare il meglio sempre. Magari sono duro sotto certi aspetti e più morbido in altri, ma non gli risparmio nulla. Anzi, se possibile, mi arrabbio il doppio se in partita non danno il massimo. Il loro piede d’appoggio è la stampella, ma bisogna reagire e vivere la partita – e la vita – nel miglior modo possibile lontano dai pietismi. Non sono marionette da circo, sono calciatori che riescono a fare ciò che amano”.

Nel caso di un calciatore amputato, quando c’è una crisi emotiva e mentale – come capita a tanti normodotati – come si agisce per rimettere in sesto un campione?

“Io lavoro tanto sul piano mentale e a livello psicologico: non amo che si piangano addosso. Non devono lasciarsi sopraffare. Bisogna lavorare alla stessa maniera, con la medesima voglia di vincere e fare risultato nel corso di una gara. Io non vedo differenze, manca un pezzo di arto, ma non vuol dire che non possono raggiungere determinati obiettivi. È bello proprio vederli reagire agli ostacoli. Lavorano con un sistema di lavoro che ho dato io da 8 anni e sta in tutte le scuole calcio. Riescono a fare cose difficili per i normodotati. Questa è una soddisfazione ancora più grande”.

“Allenarli è una sfida costante oltre che una lezione di vita”

Calcio Amputati Onorato Presentazione
Alessandro Onorato e la squadra giallorossa (LaPresse)

Com’è il rapporto con la società?

“Abbiamo un Vicepresidente, che è qualcosa di spettacolare, come Simone Perrotta. In grado di capire il calcio non solo perchè è Campione del Mondo, ma anche perchè riesce a individuare al meglio ogni nostra esigenza. Abbiamo un Presidente che è una persona eccezionale, il papà di Arturo Mariani, il Direttore Sportivo Luca Zavatti è impeccabile anche a livello personale. C’è l’ambiente giusto con l’armonia ideale per lavorare al meglio ed essere supportati”.

Qual è il suo concetto di diversità?

“Per me non esistono limiti, ti ho parlato prima della stampella che gli fa da piede d’appoggio: tante cose sembrano diverse, ma giocando tra amputati tutto si compensa. È uguale alle partite che siete abituati a vedere, c’è qualche sfumatura nell’approccio, è più faticoso. Nella resa, però, non cambia. Non ci sono scuse, perchè io metto sempre lo stesso impegno. Fare l’allenatore non è una fatica, soprattutto per chi come me si ritiene un istruttore: ciò che conta è istruire i ragazzi”.

Se dovesse tracciare un bilancio dal punto di vista della carriera, cosa si aspetta?

“Guarda, io non ho mai voluto fare l’allenatore per diversi motivi, ma questa sfida l’ho accettata perchè è una realtà importante e diversa da quelle che magari possono esserci nel calcio professionistico che conoscete. Io mi sto battendo per far diventare anche loro dei professionisti, siamo nati da poco e possiamo solo crescere. L’apporto con la proprietà c’è, si può costruire qualcosa di particolarmente interessante”.

In chiusura, da un allenatore all’altro: è contento di Mancini che resta in Nazionale?

“Sì, lo ritengo un bravissimo allenatore. Anche se, per come è andata la gara con la Macedonia, avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni. Non solo lui, naturalmente. Sono partite che devi vincere, obiettivi che devi centrare. Il problema a certi livelli è che vieni poco supportato, specialmente nel ricambio giovanile. Ecco perchè la Roma Calcio Amputati è un esempio: riesce sempre a trovare la via giusta per ripartire anche grazie alla spinta di chi sostiene questo Movimento. Cosa che, magari, altrove viene meno”.