Calcetto, la ripresa slitta ancora: i motivi del no del CTS
Il Comitato Tecnico Scientifico rimanda ancora la ripresa del calcetto e degli altri sport di squadra. Le ragioni della decisione
Niente da fare. Slitta ancora la ripresa degli sport di contatto. A renderlo noto è stato lo stesso Comitato Tecnico Scientifico che, nella parere diffuso in serata, ha comunicato che “in considerazione dell’attuale situazione epidemiologica nazionale con il persistente rischio di ripresa della trasmissione virale in cluster determinati da aggregazioni certe come negli sport da contatto”, sarà necessario continuare a rispettare “le prescrizioni relative al distanziamento fisico e alla protezione individuale”. Per tutti gli amanti del calcetto, dunque, è arrivata l’ennesima doccia fredda.
E pensare che, solo questa mattina, il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, con un lungo post su Facebook lasciava intendere tutt’altro: “Già ieri ho anticipato il mio parere favorevole alla riapertura. Manca solo l’assenso del ministro Speranza: appena lo darà si potrà ricominciare”. In serata, poi, come un fulmine a ciel sereno, è arrivata la decisione del Cts.
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Ennesima doccia fredda dunque. La seconda nel giro di poche settimane. Sì, perché lo scorso 12 giugno, il governo aveva firmato un dpcm con il quale disponeva lo slittamento della ripresa degli sport di contatto dal 15 al 25 giugno. Una mossa dettata dalla prudenza. La stessa prudenza che in serata ha spinto il Cts a rimandare ancora la ripresa degli sport di contatto. Nel parere diffuso in serata, il Comitato Tecnico ha motivato la sua decisione, soffermandosi su quelle che sono state le ragioni poste alla base del differente trattamento con la Serie A.
Le stesse disposizioni per il distanziamento sociale che oggi hanno spinto l’organo a rinviare la ripresa degli sport di contatto, infatti, nel massimo campionato italiano hanno subito una deroga. Decisiva, in questo senso, è stata la presenza di un “interlocutore formale che ha assunto piena responsabilità per quanto concerne l’esecuzione e il controllo di uno stringente protocollo di diagnosi e monitoraggio continui”. L’assenza di questi protocolli, dunque, ha spinto il Cts a ritenere che non ci fossero le condizioni per “poter assumere decisioni al riguardo che siano difformi rispetto alle raccomandazioni sul distanziamento fisico”.
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