Lewandowski e il mito del DNA di squadra: la lezione del Barcellona

L’arrivo di Lewandowski al Barcellona e di Haaland al Manchester City fa tramontare forse definitivamente il mito del DNA di un club: vediamo perché

Nell’assumere l’eredità tecnica e filosofica di Johan Cruijff al Barcellona, Pep Guardiola ha imposto un cambio di passo nel modo di guardare il calcio, e non solo di interpretarlo in campo. Oltre all’attenzione per il possesso del pallone, alla razionalizzazione degli spazi portata all’estremo anche in allenamento, Guardiola ha inseguito un ideale complesso da realizzare quanto affascinante, che spiega anche le reazioni divisive che scatena. Ha provato a disegnare un altro modello possibile, a indicare la via per un altro futuro.

Lewandowski e il mito del DNA di squadra: la lezione del Barcellona
Lewandowski e il mito del DNA di squadra: la lezione del Barcellona (Lapresse)

Come ha scritto sul Guardian Jonathan Wilson, autorevole giornalista inglese autore di diversi saggi sulla tattica e la storia del calcio, “il più grande trucco di Guardiola resta l’aver convinto il mondo che il DNA di un club esiste“.

L’ha fatto dopo una prima stagione da rivelazione, in cui ha vinto la Champions League, la Liga e la Copa del Rey con sette giocatori emersi dalla Masia, la stessa cantera dove era cresciuto lui.

Un modello così, che comporta anche costi bassi, se funziona offre un ideale che conquista i dirigenti. Certo, non è automaticamente replicabile, ma nel calcio niente può essere davvero dato per scontato.

Il Barcellona di Guardiola, e di Cruijff prima, ha veicolato per anni un messaggio discusso, discutibile ma chiaro. Ha trasmesso l’idea che il successo passa per un metodo, una filosofia, applicata nello stesso modo dal vivavio fino alla prima squadra. E’ un sistema, più di un club.

Lewandowski al Barcellona cambia tutto

Lewandowski al Barcellona cambia tutto
Lewandowski al Barcellona cambia tutto (Lapresse)

I due grandi colpi del mercato europeo, Erling Haaland al Manchester City e Robert Lewandowski al Barcellona, rompono le tradizioni. Svelano forse l’insussistenza di un mito consolatorio come quello del “DNA del club”. Il norvegese è il giocatore forse meno guardioliano possibile, eppure va a inserirsi nel sistema di Guardiola evidentemente convinto a spostare più in là i punti una volta fermi del suo sistema. Ovvero, di quella visione di coerenza che aveva convinto il Manchester City a mettergli intorno anche ex dirigenti del Barcellona per ricreare qualcosa di simile.

Intanto il Barcellona, squadra simbolo del calcio come visione identitaria e superiorità per certi versi morale, avrebbe potuto essere la squadra più guardioliana dell’ultimo decennio. Gavi, Pedri, Ansu Fati, Sergiño Dest, Riqui Puig raccontano l’emersione della meglio gioventù della Masia, dovuta anche ai pesantissimi debiti lasciati dall’ex presidente Josep Bartomeu. E in panchina c’è di nuovo un allenatore cresciuto nello stesso settore giovanile.

Eppure, la scelta di ingaggiare Lewandowski dimostra che nemmeno il Barcellona oggi crede più al valore di quell’ sfuggente per cui il Chelsea ha assunto come allenatore Frank Lampard, il Manchester United ha scommesso su Ole Gunnar Solskjær e la Juventus su Andrea Pirlo. Tutti senza risultato.

L’arrivo di Lewandowski a Barcellona e di Haaland al Manchester City ci dice che, più del DNA del club, conta avere una filosofia definita. Più questa filosofia, da adattare sempre ai tempi e agli obiettivi, è condivisa da dirigenza, allenatore e giocatori, più è facile che arrivino i risultati.