Leo Messi con la maglia dell'Argentina ai Mondiali - CalcioToday
I particolari movimenti di Messi con e senza palla aiutano a capire la sua straordinaria intelligenza calcistica
Quando Messi cammina in campo, spiegava Pep Guardiola in un documentario del 2019, osserva tutto. Muove continuamente la testa, e dopo una decina di minuti ha una mappa precisa dei movimenti dei compagni e degli avversari. Sa esattamente come creare spazi e dove cercarli.
Guardiola ha reinventato il ruolo di centravanti di movimento per Messi e ne ha fatto l’architrave del suo stellare Barcellona. Al Manchester City il suo ex assistente Juanma Lillo insisteva su un concetto chiave con i suoi attaccanti: chi ha più possibilità di tirare e di segnare è l’ultimo che arriva in area.
Due immagini che, messe insieme, possono spiegare il Messi di oggi e il Messi degli anni d’oro a Barcellona. Il Messi “falso nove” e il Messi che si prepara a diventare il giocatore con più partite e minuti giocati nella fase finale dei Mondiali. L’espressione “falso nove”, poi abusata al punto da perdere significato, ci dice in realtà molto dell’abilità decisiva della Pulga. Ovvero, di sembrare quello che non è, di essere quello che non appare. Un prestigiatore che illude e disorienta, un illusionista che si nasconde in bella vista.
Lo scanning che Messi mette in atto ad ogni passo ha una funzione precisa. La Pulga, infatti, crea spazi per i compagni anche limitandosi a quello che a un primo sguardo appare solo un trotterellare innocuo per il campo. Ma innocuo Messi non lo è mai, dentro il rettangolo verde.
Una volta completata la mappa mentale del campo e delle zone di azione di tutti i protagonisti, Messi occupa sistematicamente porzioni in campo in cui sa che gli avversari non possono tenere d’occhio contemporaneamente lui e il pallone. Spesso sono le aree di confine fra le zone di competenza di due giocatori chiamati in fretta a decidere chi dovrà seguirlo o marcarlo nel corso dell’azione.
Il suo obiettivo nella fase di costruzione del gioco è sempre disallineare, disequilibrare, scompaginare. Un principio che lo rendeva perfetto nel Barcellona di Guardiola in cui, secondo una delle note massime del tecnico catalano, lo spazio era il centravanti. E lo spazio si crea così, come una magia o un’illusione. Con un passaggio di Iniesta che sembra vedere nel futuro o un passaggio elementare, magari all’indietro della Pulga. Un passaggio come tanti se ne sono visti anche al Mondiale, che però hanno una funzione precisa. Portare il suo marcatore sempre più fuori dalla sua linea difensiva.
Con la palla o senza, l’argentino orienta il gioco in modi apparentemente inafferabili. Fa qualcosa che non ti aspetti, che nemmeno lontanamente sembra pericolosa, come camminare lontano dalla palla, magari oltre l’ultimo dei difensori, o fare un retropassaggio a centrocampo. Induce gli avversari a non guardarlo, a concentrarsi su altro e su altri. Ma c’è sempre. E’ l’ultimo che arriva in area, quasi sempre. Atteso e non visto, si materializza quando i difensori si sono già piazzati, a marcature definite. E l’ultimo che arriva è spesso il primo a tirare. Se poi tira Messi, il pericolo è dietro l’angolo.
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