Milan, da Paquetà a Piatek: conti sempre più in rosso e zero risultati

Milan, da Paquetà a Piatek: conti sempre più in rosso e zero risultati
Milan, da Paquetà a Piatek: conti sempre più in rosso e zero risultati

Conti in rosso, orizzonti in nero. E nessuna speranza di uscirne presto. Nell’ultimo anno del Milan c’è il manifesto di una squadra e di una società che da giugno 2017 ha bruciato mezzo miliardo, che ha cambiato visione e progetto senza che, alla fine, cambiasse nulla.

A gennaio del 2019 il Milan annunciava il brasiliano Paquetà, fortemente voluto dall’allora direttore sportivo Leonardo che ora lo vorrebbe portare al PSG anche se per una cifra inferiore a quella spesa per i rossoneri per un talento che aveva fatto scattare precipitosi paragoni con Kakà.

Paquetà e Piatek, fallimenti di gennaio

Insieme al brasiliano, nella scorsa sessione invernale, era arrivato Piatek, implacabile nei primi mesi del campionato al Genoa e poi gradualmente sparito con Giampaolo, peraltro senza ritrovarsi dopo il cambio di allenatore. I due colpi extralusso, costati insieme 73 milioni, potrebbero presto lasciare Milano. E segnare così il fallimento di una fase di gestione del Milan.

L’influenza crescente di Gazidis induce a scelte diverse in estate. La stagione di Boban e Maldini, le due bandiere scelte per invertire la tendenza, è segnata da un mercato con il budget relativamente ridotto. Il Milan ha speso 80 milioni, e non si può dire che li abbia investiti bene. A parte Theo Hernandez, l’unico acquisto finora convincente, gli altri nuovi arrivati hanno mostrato parecchi limiti a cominciare dal più pagato, Leao, acquistato per 25 milioni, che non sta lasciando traccia. L’infortunato Duarte, Krunic e Bennacer rimangono decisamente rivedibili. Rebic in campo non si è praticamente mai visto.7

Milan, da Paquetà a Piatek: conti sempre più in rosso e zero risultati
Milan, da Paquetà a Piatek: conti sempre più in rosso e zero risultati

Gazidis: “Dobbiamo investire sui giovani”

“Bruciando soldi per giocatori in declino peggioreremmo i conti e anche la parte sportiva” ha detto lo scorso ottobre il CEO Ivan Gazidis approvando il bilancio al 30 giugno 2019 con perdite registrate per 156 milioni. “Generiamo perdite anche perché abbiamo un monte ingaggi alto. Dobbiamo riportarlo sotto controllo e migliorare la squadra nel tempo, investendo sui giovani” ha aggiunto.

Ma il piano, che prevedeva anche un tecnico come l’esonerato Giampaolo, evidentemente naufraga prima ancora di partire. Pioli mantiene una media punti ancora più bassa di Giampaolo e non trova la via giusta per dare identità e gioco alla squadra. Così, dopo lo 0-5 mortificante contro l’Atalanta, la società che diceva di voler puntare sui giovani ricorre al potere della nostalgia, fin troppo conosciuto a Milanello.

Ma il Milan compra Ibrahimovic

Nella rassicurante tentazione del ritorno al passato per sfuggire al presente, il club convince Ibrahimovic a tornare in rossonero. “E’ tornato per divertirsi, è come il tour d’addio dei Queen” ha detto l’agente Mino Raiola a Repubblica. Definizione calzante come poche.

Nella Serie A degli over 30, in cui malinconicamente rientra un campione a fine carriera dopo gli anni in America, tradizionale meta pre-pensionistica (calcisticamente parlando) insieme al Qatar o all’Arabia Saudita, Ibrahimovic arriva da salvatore della patria. Porta in campo il blasone, la statua che compagni e tifosi hanno di lui, e che non è certo danneggiata come quella che gli hanno dedicato a Malmo.

Ibrahimovic ci darà più voglia e intensità negli allenamenti” diceva Pioli a DAZN. Un’ammissione quasi di impotenza, uno squarcio sul carattere di una squadra che ha bisogno di un salvatore venuto da fuori, di un’icona da ammirare e contemplare, perché risolva i suoi problemi.

E’ un Milan senz’anima, quello del 2019, ma non è nemmeno bello. Anzi, è il quartultimo attacco della Serie A dopo 18 giornate. Il primo tempo contro la Sampdoria, prima del secondo esordio di Ibrahimovic, racconta questo tempo sospeso di una squadra senza più riferimenti. Il primo tempo vive di una lunga attesa, di qualche pericolo in difesa, di un gioco che non c’è. Gli occhi di tutti sono concentrati sulla panchina, su Ibra: quando si alza, quando si scalda, come si scalda, quando toglie la tuta. Poi entra, e il Milan mette almeno una marcia in più sul piano della velocità. E’ un altro giro di giostra, che non cambia il risultato. E forse non lo cambierà nemmeno sul lungo periodo. Offre solo uno sguardo nostalgico su quel che è stato e non è più.

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